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giovedì 25 Settembre 2025
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Afrorenze, la squadra che unisce calcio e speranza

Afrorenze rappresenta non solo squadra di calcio, ma progetto umano, sociale e culturale che unisce giovani africani residenti nel capoluogo toscano. Il nome, Afrorenze, racchiude in sé il legame profondo con la terra d’origine e l’amore per la città che li ha accolti. Il logo, metà testa di leone e metà giglio fiorentino, è il simbolo di questa doppia appartenenza, di un’identità che si costruisce giorno dopo giorno, tra allenamenti, lavoro e sogni.

Afrofirenze, la squadra che unisce calcio e speranza

L’Afrofirenze ha esordito nel campionato di Terza Categoria, Girone A di Firenze, affrontando l’Atletico Valdipesa al Club Sportivo delle Cascine. È stato un debutto carico di emozione, non solo per il risultato sportivo, ma per ciò che rappresenta: il primo passo ufficiale di un gruppo che ha scelto di raccontarsi attraverso il calcio, di costruire comunità, di lottare contro le difficoltà con il pallone tra i piedi.

Afrorenze: storie che si intrecciano

Tra i protagonisti di questa avventura c’è Mbye Babacar, gambiano di 22 anni, portavoce, capitano e promotore del progetto Afrorenze. La sua storia è quella di un ragazzo arrivato in Italia nove anni fa, dopo un lungo viaggio dall’Africa. Prima in auto, poi in mare, fino allo sbarco a Salerno. Da lì, il cammino verso Firenze, dove ha imparato la lingua, ha trovato lavoro come pellettiere e ha costruito una famiglia. Sua moglie, Beatrice, fiorentina, è anche la tesoriera della squadra. Un legame che va oltre il campo, che racconta integrazione e amore.

L’allenatore e presidente di Afrorenze è Muhammed York, che alterna il lavoro in albergo all’impegno calcistico. È lui a guidare la squadra, a motivare i ragazzi, a credere nel progetto. Il direttore sportivo è Sanna Fatty, anche lui gambiano, metalmeccanico, arrivato in Italia nove anni fa. Vive a Firenze, ma il pensiero va spesso alla fidanzata rimasta in Africa. Il calcio, per lui, è un modo per sentirsi parte di qualcosa, per costruire un ponte tra due mondi.

Tra i giocatori c’è anche Corissa Touray, 22 anni, arrivato in Italia da adolescente. La sua è una storia di grande sacrificio. Partito dal Gambia, ha affrontato un viaggio pericoloso, passando dalla Libia e poi in barcone fino a Lampedusa. Ha vissuto in case famiglia, è stato a Palermo, Benevento, Napoli, e infine a Firenze. Lavora in una lavanderia industriale, ma affronta difficoltà logistiche e contrattuali. Il contratto sta per scadere, la stanza che condivide con altri in zona Novoli non sarà più disponibile a fine mese. Eppure, nonostante tutto, non smette di sperare.

Il campo come rifugio

Afrorenze conta circa quaranta membri, molti dei quali hanno già giocato in campionati superiori, dall’Eccellenza alla Terza Categoria. Gli allenamenti si svolgono tre volte a settimana nel pratone delle Cascine, con mezzi di fortuna, senza strutture fisse. Le partite casalinghe si giocano al Velodromo Enzo Sacchi, ma per il resto ci si arrangia. E non è un problema, come raccontano i ragazzi, perché anche in Africa si giocava così, con quello che si aveva.

Il calcio diventa rifugio, spazio di libertà, occasione di riscatto. Ogni allenamento è un momento di condivisione, di fatica, di gioia. Ogni partita è una sfida, non solo contro l’avversario, ma contro le difficoltà quotidiane. Il gruppo è unito, solidale, determinato. I costi vengono coperti dai giocatori stessi, ciascuno secondo le proprie possibilità. Ma il sogno è quello di trovare sostegno, di coinvolgere la città, di far crescere il progetto.

Un messaggio che va oltre lo sport

Afrorenze è molto più di una squadra. È un messaggio, un esempio, una testimonianza. Racconta che l’integrazione è possibile, che il calcio può essere strumento di inclusione, che dietro ogni maglia c’è una storia che merita di essere ascoltata. I ragazzi non chiedono pietà, ma rispetto. Non cercano scorciatoie, ma opportunità. E lo fanno con dignità, con impegno, con passione.

Il progetto è giovane, ma ha radici profonde. È nato dal basso, dalla volontà di costruire qualcosa di bello, di utile, di vero. E Firenze ha risposto con simpatia, con curiosità, con apertura. Le istituzioni locali, le associazioni, i cittadini possono fare molto per sostenere questa realtà, per valorizzarla, per farla crescere.

Il futuro di Afrofirenze

La stagione è appena iniziata, ma le ambizioni sono chiare. Afrorenze vuole competere, migliorare, costruire. Vuole diventare un punto di riferimento per i giovani migranti, un modello di sport sociale, un laboratorio di cittadinanza attiva. Il calcio è solo il punto di partenza. L’obiettivo è più grande: creare comunità, generare opportunità, costruire ponti.

Il logo, con il leone e il giglio, è il simbolo di questa doppia appartenenza. L’Africa e Firenze, la memoria e il presente, la forza e la bellezza. Ogni partita è un capitolo, ogni gol è una conquista, ogni allenamento è un passo verso il futuro. Afrorenze è nata, e ha già iniziato a scrivere la sua storia.

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